I primi venti autunnali iniziano a farsi sentire sulla pelle, ma per ricordare luoghi caldi, spiagge e sole, vogliamo parlare di un frutto esotico originario dell’America centrale, oggi molto diffuso anche in Europa e coltivato nelle regioni calde del mondo. Perché? L’ananas è mediamente ricco di zuccheri e calcio, ma le caratteristiche peculiari e importanti di tale frutto sono da ascrivere alla sua spiccata azione diuretica, all’azione antiinfiammatoria e all’attività fluidificante sul sangue.

L’ananas è ricco di un principio attivo chiamato bromelina che nell’uomo svolge un’azione antiedematosa, antiinfiammatoria e di riassorbimento degli ematomi.
Il principio attivo dell’ananas viene impiegato anche nell’industria farmaceutica per la preparazione di antiinfiammatori e nell’industria alimentare per l’intenerimento della carne.
Dal punto di vista nutrizionistico l’impiego del frutto fresco può essere quindi utile alle persone con tendenza alla ritenzione idrica, poiché svolge un’importante funzione diuretica naturale; si può consumare in discreta quantità a fine pasto, sia a pranzo che a cena e talvolta si può aggiungere anche a colazione.  Già dopo qualche giorno se ne potranno riscontrare glie effetti benefici.

Allo stesso modo può essere impiegato nella nutrizione delle persone dispeptiche per favorire la digestione delle proteine sfruttandone la proprietà proteolitica; si può addirittura utilizzare per predigerire la carne aggiungendo il suo succo durante la cottura della carne stessa oppure praticando una macerazione della carne in un tempo precedente la cottura.
Al contrario in caso di individui con particolari tendenze di rischio emorragico, oppure sottoposti a terapia con anticoagulanti orali, in considerazione dell’eventuale azione sulla ipercoagulabilità del sangue da parte dei principi attivi del frutto, è sconsigliabile il suo utilizzo sistematico per evitare un eventuale incremento del rischio emorragico.


Dott.ssa Rita Pavia
Biologa nutrizionista

Tra la splendida cornice delle colline di Tufo, ho incontrato Marco e Roberta, proprietari della Tenuta Russo-Bruno. Giovani e intraprendenti con un progetto di vita insieme ed un'infinita passione per le proprie viti e per il naturale.

Tutto nacque nel 2012 quando decisero di investire in un vigneto, scegliendo una delle migliori terre di vino, la madre patria del Greco di Tufo DOCG, contrada San Paolo, località Cicogna. "Un attico in piazza di Spagna" per gli esperti del settore. I vigneti sono collocati a 600 metri di altezza, un terreno tufaceo-minerale che restituisce alle uve un sentore fragrante di pesca e albicocca.

Idee chiare da subito, produrre un vino qualitativamente eccellente, di nicchia, che rispettasse la genuinità che solo la terra può dare. Una visione imprenditoriale che si coniuga con una visione della vita: la loro settimana è piena, dovendosi dividere fra il capoluogo della provincia, Avellino, e la metropoli di Milano. Il fine settimana, invece, diventa il momento per ritornare ai tempi più lenti del paesino di Tufo e per mettere insieme intuizioni e velleità.

Tufo e filari di bianco rappresentano per la coppia un futuro di serenità. Qui dove le ore sono scandite dalla luce del sole, e le giornate e gli anni dalle stagioni. "È stato complicato entrare nell'ottica che la natura decidesse per noi. Che la volontà dell'uomo si dovesse confrontare con i ritmi della vita, o nel caso specifico delle piante"-racconta Marco.

Barbatella dopo barbatella, adesso la tenuta ha un colpo d'occhio notevole. La collina si sta riempendo di giovani viti ed è palese la loro soddisfazione quando accarezzano gli acini piccoli e tondi, quando delicatamente ne staccano qualcuno per assaporarne la dolcezza. "Siamo noi a dover degustare per primi il succo di queste uve" -spiegano-, è quel vino che sarà servito nelle cene di famiglia, quella bottiglia di DOCGC che sarà stappata per il compleanno, per una rimpatriata fra cari amici, per festeggiare una svolta.

La scelta di seguire il protocollo del biologico è legata alla volontà di non voler badare al profitto, ma di preservare la storia di quelle terre, tramandarla intatta a chi verrà dopo di loro. Una scelta che nasce anche dal rapporto di fiducia creatosi con l'enologo di fama nazionale: Vincenzo Mercurio. "Ci siamo scelti. Chiacchierando fra questi filari, tutti e tre abbiamo percepito la potenza di queste colline, del panorama, delle crepe e dei sassi nel terreno. Abbiamo creduto fosse un sogno realizzabile".

E di quanto tempo ha bisogno questo sogno per diventare concreto? Di quanto tempo hanno bisogno le viti per diventare biologiche?
Solitamente è un percorso che dura tre anni, il terreno ha bisogno di disintossicarsi dalle sostanze chimiche usate in precedenza. Una purificazione naturale. Tra i vari enti che controllano e certificano la viticoltura biologica si sono affidati a "Suolo e Salute". C'è l'obbligo di registrare tutti i passaggi fatti in agricoltura: dalle schede colturali, alle schede materie prime e documentare l'origine dei prodotti acquistati attraverso fatture. Un controllo continuo ma che non li scoraggia.

Come avviene il trattamento biologico? I costi sono maggiori rispetto a quella convenzionale?
"Trattandosi di un tipo di uva molto delicata, va protetta altrimenti c'è il rischio di perdere la produzione. Si deve intervenire più volte, basta una semplice pioggia ad eliminare i prodotti dalle uve che sono senza difesa. Basterebbe utilizzare solfiti e conservanti per ridurre questa debolezza ma non rientrerebbe più nella nostra filosofia. A differenza della viticoltura convenzionale, i costi sono minori ma c'è più lavoro di manodopera"- dichiara Roberta.

Attualmente il loro vino non è ancora biologico anche se proviene da tale viticoltura. È necessario vinificarlo presso una cantina che non vada a contaminarsi con vini provenienti da una viticoltura convenzionale. Per questo un obiettivo di breve termine è quello di ristrutturare una grotta naturale presente in tenuta e adibirla come propria cantina.

"Quando beviamo un vino vero, quando ci si commuove per sapori o aromi particolari, è in realtà un mondo remoto che si ammira. Un mondo remoto che le leggi della Terra trasformano in una qualità fisica. Grazie ad un'agricoltura rispettosa e artistica, l'uomo svolgerà pienamente il suo ruolo. Il gusto del vino può essere unico e inimitabile soltanto se è la piena espressione del suo clima e del proprio territorio"( Nicolas Joly, 2007).




La Tenuta Russo-Bruno si trova a : Tufo(Av), frazione San Paolo- Località Cicogna

SIto web:www.tenutarussobruno.it

Contatti: tel/fax: +39.0825.683926

Email: info@tenutarussobruno.it



Castello di Vigevano: cortile e Torre del Bramante


Un mare a scacchi, formato dalle risaie e punteggiato da castelli.
Questa è la Lomellina, terra di riso e storia. Una storia che inizia nel XV secolo e che ancora oggi è parte di questa e delle sue tradizioni.

Tutto questo verrà raccontato a Rice- I sapori del riso italiano nei suggestivi ambienti del Castello Ducale. Con un programma ampio e variegato di eventi, raccontando, attaverso questo prodotto di eccellenza, non solo il territorio ma anche i saperi antichi, le tradizioni, le tecniche di coltivazione e lavorazione e i prodotti legati alle terre di produzione del riso stesso.
Durante questi due giorni sarà possibile assaporare il riso nelle sue molteplici preparazioni, ascoltare i racconti della tradizione e acquistare, oltre al riso, i prodotti tipici del territorio.

www.riceitaly.it

Vigevano dal 26 al 27 settembre 2015




“Tra le Terre” è una rete al femminile, che si dirama fra le colline dell’Oltrepò e le risaie della Lomellina, in provincia di Pavia. Sei realtà rurali gestite da altrettante donne, che con coraggio, creatività e spirito d’iniziativa hanno recuperato, innovando, i valori della tradizione agricola locale.
La Tenuta San Giovanni si trova a Olevano di Lomellina, non distante da Vigevano, che anche quest'anno ha rinnovato lo storico primato di piazza più bella d'Italia. È cresciuta intorno a un antico edificio risalente al 1780, compendio di un antico castello e racconta una bella storia di famiglia.
La maggior parte degli edifici che la compongono è stata voluta da Angelo Galbarini, sindaco di Pavia agli inizi del Novecento e bisnonno di Cristiana Sartori, laureata in agraria, che oggi gestisce con la famiglia la struttura e racconta con passione e competenza le sue esperienze sul campo (è proprio il caso di dirlo).
Oltre all'agriturismo, intitolato a nonno Leone, trovano spazio all’interno anche corsi di cucina, eventi come la Seconda Conferenza Internazionale dei Sistemi produzione di risicoltura biologica e dal 2004, in collaborazione con l’amministrazione Comunale, 
il Museo di Arte e Tradizione Contadina. In un futuro forse non troppo lontano, potrebbe esserci anche la realizzazione di un corso pratico sull' “Economia delle coltivazioni biologiche” destinato a giovani laureanti nella Facoltà di Scienze Agrarie di Milano che intendono intraprendere questa professione.
La tenuta ospita attualmente un orto biologico dove crescono fra l’altro azuki rossi, fagioli cannellini, fagiolini dell’occhio e rose, utilizzati per preparare piatti sfiziosi e legati al ciclo delle stagioni, che si avvalgono della collaborazione di altri produttori virtuosi, ma si è specializzata soprattutto nella produzione di riso bio, il cui alto valore gastronomico è riconosciuto anche dall'esigente Confraternita del risotto.
Fra le specialità spicca il Riso Rosso Ermes Biologico, prodotto in esclusiva per SA.PI.SE, Cooperativa agricola di Vercelli che commercializza sementi di riso in tutta l’area del Mediterraneo, ma le varietà di riso coltivate sono diverse: Riso Superfino Carnaroli Biologico, Riso Superfino Carnaroli Semi Integrale Bio e Riso Nero Integrale Biologico Nero di Lomellina derivato dalla lavorazione del risone Otello. Quest’ultimo, oltre a rappresentare un’esclusività sul territorio italiano, scaturita dalla manciata di semi che l’agronomo-genetista Eugenio Gentinetta portò con sé dalla Cina, costituisce un risultato d’eccellenza, che il 25 ottobre di quest’anno, nella giornata di festa dedicata al riso ed alla rievocazione annuale della trebbiatura storica di questo cereale, verrà insignito del marchio De.C.O. (Denominazione di Origine Comunale). Per chi dispone di tempo limitato in cucina esiste infine la linea “Pronti e semplici”, che ai chicchi bio imbustati mescola deliziose verdure essiccate.
Ma come nasce il riso bio?
Nella tenuta Il terreno viene lavorato e livellato prima della semina mediante mezzi meccanici che vanno a estirpare i cosiddetti germinelli, soprattutto di giavone, nemico numero uno del riso bio che, laddove le condizioni atmosferiche lo consentono, può svilupparsi in asciutta. In che modo? Grazie a un erpice strigliatore, passato più volte sul seminato con interventi alternati ogni 2- 3 giorni, vengono raggiunte in condizioni ottimali le “7 strigliature di Sartori” e il raccolto viene bonificato senza l’uso di pesticidi. In seguito il controllo sulle malerbe viene effettuato solo con la regimazione delle acque, che inondano i campi nel periodo estivo: il riso non è una pianta acquatica, ma è sensibile agli sbalzi di temperatura e l’acqua, fungendo da volano termico, consente alle piantine di crescere senza subire sbalzi di temperatura. Le spighe, che fioriscono di norma entro luglio, non devono superare infatti i 40 gradi e non scendere sotto i 15, altrimenti possono essere soggette a infertilità.
Quali proprietà possiede?
Oltre ad essere caratterizzato da una maggiore sapidità secondo gli estimatori e a non riportare tracce di sostanze chimiche, il riso bio espone il corpo in misura minore a possibili intolleranze alimentari. Nelle varietà rossa risulta ricco di antociani, che svolgono funzione antiossidante, mentre in quella nera sono presenti ferro e manganese, che aiutano a combattere le anemie. Gli amanti della buona tavola e dell’alimentazione naturale si tramandano il nome dell’agriturismo, quasi nascosto dal verde della campagna circostante, grazie a un passaparola che funziona da anni. I rivenditori fanno lo stesso.
Una buona salute insomma può essere favorita anche da un bel piatto di risotto!




Azienda agricola Tenuta San Giovanni

Via Uberto da Olevano 1
Olevano di Lomellina (PV)
Per info: 0384-51093 e 335-5729936







Prima di diventare una delle mete più visitate della Nuova Milano, con i suoi boschi verticali e i suoi locali, il quartiere Isola era un tranquillo quartiere popolare, del tutto estraneo al tran tran meneghino. È in questo contesto che è nato e si è sviluppato MioBio, il punto di riferimento nel quartiere per chi vuol fare la spesa critica.
MioBio è un piccolo negozietto: una sola vetrina affacciata su via Thaon de Revel, poche decine di metri quadri traboccanti di prodotti. A volte, quando i clienti fanno la spesa, sono i proprietari ad uscire, in un clima di estrema fiducia difficile da trovare in città. Si possono acquistare sia frutta e verdura fresca che prodotti confezionati, tutti rigorosamente biologici o a km0. Pasta, farine, crackers, confetture, succhi, mieli scelti con rigorosi criteri di sostenibilità sociale e ambientale.

Accanto ai prodotti però ci sono i progetti: da anni ad esempio collabora con i gruppi d’acquisto della zona (GAS) mettendo a disposizione lo spazio o condividendo gli ordini. Inoltre ospita l’associazione Officina Enoica con le sue degustazioni di vino, alla scoperta di prodotti buoni da bere e con una storia da raccontare.

Negli anni ha contribuito a far nascere sostenere e diffondere progetti come Frutti di Pace: questo progetto ha sostenuto la creazione di una cooperativa in Bosnia a Bratunac, dove lavora un gruppo di profughi di Srebrenica, coltivando piccoli frutti destinati a essere confezionati come marmellate. MioBio non sostiene il progetto soltanto con gli acquisti, ma soprattutto organizzando serate e continuando a raccontare l’andamento della cooperativa, come accaduto a maggio in occasione di una pesante alluvione.

La vocazione commerciale e le buone pratiche partecipative rendono MioBio un luogo vitale e amato, in sintonia con il quartiere Isola di ieri, ma anche con quello odierno.

Miobio
Via Giovanni Thaon Di Revel, 9, Milano, 20159 Milano
Per info: 026884166 oppure info@mio-bio.it
Sito web: /http://www.mio-bio.it




Lì in quel lembo di terra che è Casalbore, crocevia tra l’Irpinia e il Sannio, oggi vi racconto la storia di Antonio Corso e la sua Azienda agricola, il suo attivismo convinto contro la produzione di massa nel mezzo di: vigneti, ulivi, “pecore dalla coda larga” e mucche di un bianco candido. Sarò onesto: non mi era mai capitato di soffermarmi a guardare questo paesaggio. Ed ora sembro un paparazzo della Natura e delle sue mille sfumature. Sarà capitato anche a voi. Magari dopo anni vissuti tra nebbia, la tristezza dei palazzoni moderni, emblema della vita in città. Qui invece tutto è racchiuso in una fotografia fino a raggiungere l’entrata dell’Azienda agricola Corso.


Ad accogliermi c’è Lara: una bimba di nove anni figlia di Antonio ed Enza proprietari della fattoria. Una sveglia e instancabile guida, mi narra con fare maturo la sua vita in quelle terre, del loro prodotto di punta: il pecorino lauticauda; e ancora del capicollo, delle galline e orgogliosa indica ognuna di loro sbracciandosi dalla rete. Con l’arrivo di Antonio è fulminea simpatia, affabile e concreto, non perde tempo aprendo i recinti dove fa crescere le pecore dalla “coda larga” e le mucche possenti della razza marchigiana.


Non mi stupisce parlando con Antonio quanto detto dalla figliola, il suo portare avanti la tradizione del nonno, fondatore dell’azienda nel 1940; racconta che da ragazzino andava con lui a vendere le uova e i prodotti nei mercati del paese, degli insegnamenti del nonno sul non vergognarsi mai del suo lavoro, anche se a quindici anni non era visto di buon occhio passare in giro per il paese con il trattore. Forse è proprio questa la ragione di un mancato ricambio generazionale in questo settore. Non credete?

L’azienda agricola Corso si sviluppa in un’aerea di circa sessanta ettari di terreno. Attualmente si occupa sia dell’attività agricola che della zootecnica. Il suo principio cardine è quello di attuare un ciclo di produzione chiuso, che va dalla coltivazione dei foraggi per i propri animali, alla lavorazione dei prodotti ricavati dall’allevamento. Antonio Corso è deciso quando spiega che utilizza prodotti naturali per la coltivazione della terra, come il letame, la poltiglia bordolese per le viti, la rotazione dei terreni: alternando la produzione di fieno al grano, all’avena, all’orzo e ai legumi; certezze per ottenere prodotti di qualità.

Subito dopo la scena è tutta loro: 25 vacche di razza marchigiana e 250 pecore lauticaude, due selezioni di qualità. Le prime, dette anche vitelloni dell’Appenino centrale, un tipo di carne IGP data la conformità robusta originariamente venivano utilizzate come trattori, ora il vantaggio di essere alimentate in maniera tradizionale garantisce carne magra con bassi livelli di colesterolo e un sapere gustoso.


Tutte informazioni che Antonio Corso mi fornisce con pazienza e passione: la pecora lauticauda  è una razza tipica del beneventano e avellinese, dalla coda leggermente larga, filiforme, che stava per estinguersi, ma solo grazie alla ricerca dell’identità di alcuni imprenditori agricoli e dell’Ispettorato agricolo locale si è riusciti a non farla scomparire. Il loro latte è l’ingrediente principe del prodotto di punta dell’azienda: il pecorino. Ha un processo di stagionatura di sei mesi, più invecchia e più il prodotto sa di buono. Lo garantisco personalmente, il sapore è leggermente granuloso, delicato. Si riconosce immediatamente per la sua forma cilindrica e dalla crosta marrone chiaro.


Con la rapida espansione dei consumi di massa, spesso avvantaggiate da un prezzo ineguagliabile si è persa l’identità, il vantaggio di poter gustare dei cibi sani, di poterli toccare e di assistere alle diverse fasi di produzione. Sono proprio queste le caratteristiche che contraddistinguono il poter visitare questa fattoria. “La coltivazione e la vendita locale a chilometro zero dei prodotti ha dei bassi impatti sia per il terreno, che sull’incidenza nell’immissione di CO2 nell’atmosfera che attraverso il trasporto del prodotto perde quella garantita freschezza. Siamo abituati a trovare negli scaffali dei supermercati ogni specie di frutta e verdura in qualunque mese dell’anno” dice Antonio.

Attualmente oltre a vendere nel suo punto vendita si reca nei “farmer markets” mercati dei contadini dove possiamo trovare prodotti freschi di agricoltori e allevatori, venduti direttamente al consumatore finale. Ne sono un  esempio quelli organizzati nella splendida cornice della “torre normanna” di Casalbore.
Bisognerebbe incentivare il proliferare di queste attività; allora vi chiedo perché non ricreare una cultura all’acquisto di prodotti autoctoni?


 

L'azienda Agricola Corso si trova a Casalbore (Avellino) in C.da Creti,8.

Sito web:www.aziendacorso.it
Per info: 339.5385250 oppure aziendacorso@gmail.com



Le intolleranze alimentari rappresentano un problema abbastanza frequente e si possono manifestare attraverso una varietà molteplice di disturbi. Spesso i sintomi vengono accomunati sotto il termine generico di intolleranza andando a comprendere anche altre situazioni legate a una vera e propria allergia alimentare.
È opportuno invece effettuare la seguente distinzione: 
  • Allergie: reazioni importanti che coinvolgono il sistema immunitario, che si manifestano in breve tempo ogniqualvolta venga introdotto un certo alimento specifico e che vengono studiate con esami dedicati da parte di un allergologo. 
  • Pseudoallergie: reazioni dovute a carenze enzimatiche (di solito su base genetica).
  • Reazioni tossiche: fenomeni specifici dovuti ad introduzione di tossine o sostanze velenose, come nel caso di avvelenamento da funghi.
  • Intolleranze alimentari: reazioni diverse, che non risultano legate al sistema immunitario e che danno un tipo di reazione ritardata nel tempo e molto variegata.


Come riconoscere un’intolleranza alimentare.

Le intolleranze alimentari sono legate all’assorbimento intestinale delle macromolecole alimentari e sono una reazione cronica ad alimenti che l’individuo assume frequentemente. I sintomi possono essere molto vari: possono riguardare la cute con manifestazioni come orticaria, eczemi, dermatiti e pruriti; possono sfociare in cefalee ricorrenti, spossatezza, edemi, alternanza di peso, alvo alternato, senso di gonfiore intestinale e disturbi digestivi. Questa sintomatologia è generata da uno stato di infiammazione cronica dovuta ad un accumulo di alcune sostanze presenti in un certo  alimento consumato frequentemente.
Gli alimenti che possono portare ad intolleranza alimentare sono vari: lievito, olio di oliva, soia, latte e glutine sono i più frequenti. Di solito eliminando in modo corretto e totale l’alimento che contiene il principio che dà intolleranza per un periodo variabile da due a più mesi, a seconda della gravità dei disturbi connessi, si riesce ad avere la remissione dei sintomi. In seguito, una volta scomparsi i disturbi, l’alimento potrà essere reinserito nella dieta poco alla volta cominciando gradualmente; se l’astinenza viene eseguita in modo corretto la persona potrà consumare nuovamente l’alimento in questione (meglio in modo non continuativo), contrariamente a quanto invece avviene per le allergie per le quali l’allergene, una volta riconosciuto, non dovrà mai essere consumato altrimenti potrà generare nuovamente una reazione seria.

Attualmente anche per le intolleranze sono stati messi a punto dei test, che si eseguono su un semplice prelievo del sangue, e che possono fornire dati utili al nutrizionista per mettere a punto un regime alimentare che escluda totalmente, per un periodo di tempo variabile,  non solo l’alimento che determina l’intolleranza, ma anche tutti gli alimenti che appartengano alla stessa famiglia o che siano comunque ad esso correlati.


Dott.ssa Rita Pavia
Biologa nutrizionista